sabato 10 maggio 2025

Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

 Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

In presenza di gravi condanne penali e denunce da parte dei familiari, il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può legittimamente essere revocato, anche in presenza di un nucleo familiare residente in Italia. È quanto ribadito da una recente giurisprudenza amministrativa secondo cui la condanna per maltrattamenti in famiglia, associata a una denuncia per atti persecutori sporta dalla moglie e dai figli, è sufficiente a escludere l'invocabilità della tutela del diritto all’unità familiare.

Il permesso UE per lungo soggiornanti garantisce allo straniero una particolare stabilità, ma non è immune da revoca in caso di condotte che ledano l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. In casi del genere, l’amministrazione è tenuta a effettuare un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla revoca e gli interessi individuali del richiedente, tra cui i legami familiari. Tuttavia, quando il vincolo familiare stesso è fonte di pericolo o sofferenza per i suoi membri, tale bilanciamento risulta di fatto già compromesso.

Nel caso specifico, il richiedente aveva invocato la tutela del suo radicamento familiare, sostenendo la presenza stabile della moglie e dei figli sul territorio nazionale. Tuttavia, proprio gli stessi soggetti avevano richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria per violenze domestiche e atti persecutori, fatti culminati in una condanna definitiva. Ciò ha portato l’amministrazione a disporre la revoca del titolo, ritenendo prevalente la necessità di garantire la sicurezza delle vittime e dell’interesse pubblico alla prevenzione.

Questa linea interpretativa si colloca nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione e dai Tribunali Amministrativi, secondo cui la tutela dei legami familiari non può essere invocata in modo strumentale da chi ha reso quel legame un veicolo di violenza.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025

 La tutela del radicamento del cittadino straniero e il rilascio della protezione speciale: commento alla sentenza del Tribunale di Bologna, R.G. 5453/2023, del 16 aprile 2025

Articolo a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

La sentenza emessa in data 16 aprile 2025 dal Tribunale di Bologna (R.G. 5453/2023) rappresenta un esempio puntuale di applicazione coerente della normativa sulla protezione speciale di cui all’art. 19 del Testo Unico Immigrazione, nella versione vigente antecedente al D.L. 20/2023, in relazione ad una fattispecie caratterizzata da una forte integrazione personale, lavorativa e familiare del ricorrente nel contesto italiano.

Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia dal 2021, aveva impugnato il provvedimento della Questura di Bologna che rigettava l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il rigetto era stato notificato dopo un lungo periodo di attesa, durante il quale il ricorrente aveva consolidato in maniera significativa il proprio percorso di integrazione nel territorio italiano.

Il Tribunale, nel riconoscere la fondatezza del ricorso, ha ricostruito il quadro di fatto e giuridico con rigore istruttorio. Dall’audizione personale del ricorrente è emersa la costanza di una vita autonoma, fondata su un contratto di lavoro a tempo indeterminato, una retribuzione stabile, l’apprendimento della lingua italiana e la partecipazione alla vita sociale attraverso attività sportive. Il collegio ha inoltre valorizzato la presenza di legami familiari stabili con il padre, la sorella e altri parenti conviventi, con i quali il ricorrente divideva le spese domestiche contribuendo anche al sostegno dei familiari rimasti in patria.

Sul piano giuridico, il Tribunale ha ribadito l’applicabilità della versione dell’art. 19, comma 1.1, TUI previgente al D.L. 20/2023, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte EDU secondo cui il diritto alla vita privata e familiare – come declinato dall’art. 8 CEDU – impone un serio bilanciamento tra l’interesse pubblico all’allontanamento e quello individuale al mantenimento del radicamento acquisito.

L’esame del collegio ha messo in luce come l’attività lavorativa e la stabilità abitativa costituiscano elementi centrali del diritto alla vita privata, e che la perdita di tale stabilità avrebbe determinato una grave compromissione dei diritti fondamentali del ricorrente, in assenza di qualunque esigenza di sicurezza pubblica o sanitaria tale da giustificare l’espulsione.

In conclusione, la sentenza ha disposto il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale con durata biennale, rinnovabile e convertibile in permesso per lavoro, applicando espressamente il regime giuridico antecedente al “Decreto Cutro”, e riconoscendo il diritto soggettivo del ricorrente alla permanenza sul territorio italiano.

Questo provvedimento si inserisce in un filone giurisprudenziale che, con crescente coerenza, riconosce come la protezione speciale non sia un’eccezione, ma uno strumento ordinario di tutela del principio personalista e solidaristico dell’ordinamento italiano, soprattutto quando è in gioco l’identità, la dignità e il percorso di vita di chi ha costruito in Italia il proprio futuro.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 3 maggio 2025

La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025

 

La tutela cautelare dell’integrazione sociale nella protezione speciale: decreto di sospensione – R.G. 4598-1/2025, Tribunale di Brescia, 29 aprile 2025


Con decreto del 29 aprile 2025, il Tribunale di Brescia ha sospeso l’efficacia esecutiva di un provvedimento di rigetto di domanda per protezione speciale, ravvisando l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, alla luce della documentazione comprovante l’inserimento socio-lavorativo del ricorrente. Il caso ribadisce la centralità del principio di radicamento sociale ai fini della tutela cautelare del diritto al soggiorno.

La decisione del Tribunale Ordinario di Brescia – Sezione specializzata in materia d’immigrazione – con decreto cautelare emesso nel procedimento R.G. 4598-1/2025, offre un’importante conferma dell’orientamento giurisprudenziale che riconosce il valore protettivo dell’integrazione sociale nell’ambito della protezione speciale, anche in sede cautelare.

Il ricorrente, cittadino marocchino stabilitosi in Italia nel 2020, aveva presentato istanza di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 286/1998, corredata da documentazione volta a dimostrare un percorso effettivo di integrazione sociale, abitativa e lavorativa.

Tra gli elementi rilevanti prodotti in giudizio figuravano:

  • contratto di locazione regolarmente registrato e certificato di residenza;

  • contratto di lavoro a tempo indeterminato con la medesima impresa per cui aveva precedentemente lavorato a tempo determinato;

  • certificazione reddituale e previdenziale dimostrativa dell’autosufficienza economica.

Nonostante tali elementi, la Questura aveva rigettato l’istanza, decisione poi impugnata con richiesta contestuale di sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva.

Il giudice ha ritenuto sussistenti i presupposti per la sospensione, evidenziando in particolare:

  • il fumus boni iuris, fondato sull’avvio e la prosecuzione di un rapporto lavorativo stabile a tempo indeterminato, nonché sulla documentazione che conferma l’integrazione del ricorrente nella realtà locale;

  • il periculum in mora, identificato nel concreto rischio di rimpatrio del ricorrente prima della definizione del giudizio di merito, con conseguente perdita del posto di lavoro e interruzione del processo di inserimento sociale.

Il provvedimento richiama gli artt. 19-ter e 5, comma 2, del D.Lgs. 150/2011, e si inserisce in un solco giurisprudenziale ormai consolidato che considera la permanenza stabile e l’integrazione socio-lavorativa come parametri rilevanti per la concessione di misure cautelari.

Il decreto cautelare emesso dal Tribunale di Brescia riafferma la funzione protettiva dell’art. 19, comma 1.1 del Testo Unico Immigrazione, in armonia con l’art. 8 della CEDU, riconoscendo tutela giurisdizionale immediata e concreta alla persona straniera che abbia stabilito un legame effettivo con il territorio nazionale. La decisione rafforza l’idea che l’integrazione costituisca non solo un fatto sociale, ma anche un valore giuridico idoneo a fondare pretese soggettive in sede cautelare e di merito.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025

 

La tutela del radicamento come diritto soggettivo alla protezione speciale

Tribunale di Bologna – Sentenza n. R.G. 12304/2023, emessa il 15 aprile 2025


Con la sentenza n. R.G. 12304/2023, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, evidenziando la centralità del principio del radicamento sociale e affettivo del cittadino straniero come limite al potere di allontanamento dello Stato. Il Collegio ha ritenuto che l’espulsione avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1, del T.U.I., nella formulazione previgente al D.L. 20/2023.



La sentenza in commento offre una puntuale e motivata ricostruzione del perimetro applicativo della protezione speciale nel sistema italiano, nella sua formulazione risultante dalla riforma introdotta con il D.L. 130/2020, convertito con L. 173/2020, e prima delle restrizioni introdotte dal c.d. Decreto Cutro. Il Tribunale ha riconosciuto il diritto soggettivo del ricorrente – cittadino tunisino giunto in Italia nel 2021 – ad ottenere un permesso di soggiorno per protezione speciale a fronte del rischio concreto di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare in caso di rimpatrio.

La domanda, presentata il 2 agosto 2022, era stata rigettata dalla Questura di Bologna sulla base del parere negativo della Commissione territoriale. Tuttavia, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente, osservando che egli aveva instaurato un percorso di integrazione effettivo e duraturo: attività lavorativa documentata e regolarizzata, trasformazione del contratto in tempo indeterminato, autonomia abitativa, legami sociali e affettivi stabili, nonché un progressivo affievolimento dei legami con il Paese d’origine.

Particolare rilievo assume il riferimento all’art. 19, co. 1.1, TUI, che impone un bilanciamento tra il diritto dello straniero alla tutela della propria vita privata e familiare e le esigenze di sicurezza nazionale. In assenza di concrete e specifiche esigenze pubbliche ostative – che nel caso concreto non risultavano sussistere – il Tribunale ha affermato che l’allontanamento avrebbe comportato uno “sradicamento” incompatibile con la tutela dei diritti fondamentali dell’interessato.

La sentenza valorizza la giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare Cass. SS.UU. n. 24413/2021) e della Corte EDU (in primis Narjis c. Italia), riconoscendo che il radicamento personale, professionale e sociale in Italia costituisce un limite all’espulsione e un fondamento autonomo della protezione speciale.

Da un punto di vista procedurale, è rilevante anche il passaggio in cui il Collegio accoglie l’istanza di rimessione in termini per il deposito del ricorso oltre il termine, riconoscendo la violazione dell’art. 13, co. 7, TUI per omessa traduzione del provvedimento impugnato in una lingua comprensibile al ricorrente.

Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio di un permesso di soggiorno biennale per protezione speciale, rinnovabile e convertibile in permesso per motivi di lavoro. La sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata del diritto dell’immigrazione, in cui l’integrazione sociale assume valore giuridico e non solo fattuale. La tutela dei diritti umani fondamentali – in primis il diritto all’identità e alla dignità personale – viene dunque riaffermata come fondamento del sistema di accoglienza e di inclusione.

Avv. Fabio Loscerbo


La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025

 

La nozione di radicamento e il diritto al rispetto della vita privata e familiare nella protezione speciale – Tribunale di Firenze, Sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025


Con la sentenza n. R.G. 61/2023 del 30 aprile 2025, il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso di un cittadino straniero cui era stata rigettata la domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza, riconoscendogli il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. La decisione si fonda sull’accertamento di un concreto radicamento socio-lavorativo in Italia e sulla conseguente applicazione dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, interpretato alla luce della giurisprudenza CEDU.

La pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze il 30 aprile 2025, n. R.G. 61/2023, costituisce un esempio esemplare dell’evoluzione giurisprudenziale italiana in materia di protezione speciale, alla luce del diritto europeo e delle più recenti modifiche normative.

Nel caso esaminato, il ricorrente, cittadino marocchino, aveva inizialmente presentato domanda di protezione internazionale, rigettata in via amministrativa per manifesta infondatezza. In sede giudiziale, il ricorrente ha abbandonato la richiesta di status di rifugiato e protezione sussidiaria, insistendo per il solo riconoscimento della protezione speciale, allegando una documentazione comprovante un percorso di integrazione socio-lavorativa stabile e duraturo.

Il Tribunale, ritenendo ormai cristallizzate le valutazioni della Commissione in merito alla protezione internazionale, ha concentrato l’analisi sulla sussistenza dei presupposti per la protezione speciale, ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, D.Lgs. 286/98, nella formulazione risultante dalla L. 173/2020. Tale norma prevede un divieto di espulsione o respingimento ogniqualvolta l’allontanamento possa comportare una violazione del diritto alla vita privata e familiare.

Significativo è l’uso, da parte del Collegio, della nozione di "radicamento sociale e familiare", utilizzata come parametro decisivo per la concessione della protezione. La decisione richiama esplicitamente la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare il caso Narjis c. Italia, per affermare che anche in assenza di vincoli familiari tradizionali, la rete di relazioni sociali e lavorative costituisce espressione della vita privata protetta dall’art. 8 CEDU.

Nel caso concreto, il ricorrente aveva stipulato un contratto di apprendistato a tempo indeterminato, seguito corsi di lingua italiana e formazione professionale nel settore edilizio, e risultava pienamente inserito nel tessuto sociale fiorentino. Di contro, il rientro in patria non avrebbe garantito pari condizioni di inserimento, in quanto mancava ogni legame effettivo con la comunità d’origine.

Il Tribunale ha sottolineato come il bilanciamento richiesto dalla norma non si fondi su un confronto astratto tra ordinamenti, ma su un’analisi concreta della vulnerabilità derivante dalla perdita del proprio habitat relazionale in Italia.

La decisione si conclude con il riconoscimento della protezione speciale per due anni, con possibilità di conversione in permesso per motivi di lavoro, secondo la normativa vigente, e con la compensazione delle spese di lite in ragione della sopravvenienza delle circostanze emerse solo in giudizio.
Questa sentenza si inserisce nel solco di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 19, comma 1.1, TUI, valorizzando la centralità dell’integrazione e del radicamento personale quali elementi autonomi e rilevanti per la tutela dello straniero, anche al di fuori dei presupposti classici della protezione internazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

La tutela del diritto alla vita privata e familiare come fondamento del permesso di soggiorno per protezione speciale – Tribunale di Bologna, Sentenza n. R.G. 4732/2023 del 3 aprile 2025

 

La tutela del diritto alla vita privata e familiare come fondamento del permesso di soggiorno per protezione speciale – Tribunale di Bologna, Sentenza n. R.G. 4732/2023 del 3 aprile 2025


Il Tribunale di Bologna, con la sentenza emessa in data 3 aprile 2025, ha accolto il ricorso avverso il diniego del permesso di soggiorno per protezione speciale, riconoscendo in capo alla ricorrente il diritto a tale forma di tutela ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998, nella formulazione previgente al Decreto Cutro. Il Collegio ha ritenuto che l’allontanamento della ricorrente dal territorio italiano avrebbe comportato una grave compromissione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8 della CEDU.



La pronuncia del Tribunale di Bologna del 3 aprile 2025 (R.G. 4732/2023) offre un’importante occasione per riflettere sul significato e sull’ambito di applicazione dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione, con riferimento alla protezione speciale. La sentenza riafferma la centralità del diritto alla vita privata e familiare quale parametro autonomo e sufficiente per il riconoscimento della tutela, anche in assenza di situazioni di rischio nel Paese di origine.

Nel caso oggetto di giudizio, la ricorrente aveva visto respingere la propria istanza da parte della Questura, sulla base di un parere negativo espresso dalla Commissione territoriale. Il diniego si fondava su una presunta carenza di elementi rilevanti per attestare un radicamento sociale o familiare. Tuttavia, nel corso del giudizio è emersa una situazione di stabile inserimento della ricorrente nel contesto italiano: lunga permanenza (dal 2018), convivenza con la zia prima e successivamente con il marito, attività lavorativa regolare, autonomia abitativa, padronanza della lingua italiana e stato di gravidanza.

La decisione del Collegio valorizza l’effettività delle relazioni instaurate nel territorio italiano e, richiamando la giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Cassazione (SS.UU. n. 24413/2021; Cass. 7861/2022; Cass. 9080/2023), sottolinea che la protezione offerta dall’art. 8 CEDU riguarda non solo le relazioni familiari in senso stretto, ma anche quelle affettive, sociali e lavorative. In tale ottica, il radicamento personale acquisito sul territorio si configura come limite all’esercizio del potere statale di espulsione, salvo esigenze imperative di sicurezza.

Un elemento significativo della sentenza è il riferimento alla condizione di gravidanza come fattore di vulnerabilità soggettiva, meritevole di protezione rafforzata, in linea con il principio di tutela della persona in stato di fragilità.

Non meno rilevante è il passaggio con cui il Tribunale chiarisce che, in applicazione dell’art. 7, comma 2, del D.L. 20/2023 (Decreto Cutro), continua ad applicarsi alla fattispecie la normativa previgente. Ne deriva che il permesso di soggiorno riconosciuto conserva piena durata biennale, è convertibile in lavoro e rinnovabile, offrendo al titolare garanzie di stabilità.

In conclusione, la sentenza contribuisce ad arricchire l’interpretazione sostanziale dell’art. 19, comma 1.1, TUI, ribadendo che la protezione speciale è misura non residuale, bensì strutturalmente connessa alla tutela della dignità e dell’identità personale del migrante radicato in Italia.

Avv. Fabio Loscerbo



domenica 27 aprile 2025

Regolarizzazione 2020: Il Consiglio di Stato valorizza la tutela sostanziale dello straniero

 

Regolarizzazione 2020: Il Consiglio di Stato valorizza la tutela sostanziale dello straniero

Due recenti e importanti pronunce del Consiglio di Stato contribuiscono a chiarire il corretto approccio alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri prevista dall’art. 103 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n. 77.

Si tratta di decisioni fondamentali che riaffermano un principio essenziale: quando l'irregolarità formale che ostacola la procedura non è imputabile allo straniero, ma deriva da carenze o omissioni imputabili al datore di lavoro o all'amministrazione, il lavoratore conserva il diritto ad ottenere un permesso di soggiorno.

Il primato dei presupposti sostanziali

Con la sentenza n. 3643 del 22 aprile 2024, il Consiglio di Stato ha affermato che il rigetto di una domanda di regolarizzazione, basato su meri profili formali non imputabili al lavoratore, senza un'adeguata verifica della sussistenza sostanziale dei requisiti, comporta una frustrazione irragionevole dell’interesse pubblico primario alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri.

Il giudice amministrativo richiama il vincolo di ragionevolezza che deve guidare anche il legislatore nella disciplina della materia, sottolineando che:

  • la regolarizzazione persegue interessi pubblici essenziali, legati sia alla tutela dei diritti fondamentali sia alla funzionalità del mercato del lavoro e dell’economia;

  • lo straniero che ha dimostrato un inserimento sociale e lavorativo effettivo, in assenza di elementi di pericolosità sociale, non può essere penalizzato per irregolarità procedurali a lui non imputabili.

L'interpretazione funzionale e costituzionalmente orientata delle norme impone quindi che, in casi del genere, si riconosca comunque il diritto del lavoratore a vedere tutelata la propria posizione.

Il diritto al permesso per "attesa occupazione"

Una conseguenza pratica di questo orientamento è che, anche in presenza di irregolarità riferibili esclusivamente al datore di lavoro, il cittadino straniero mantiene il diritto a ottenere il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Si evita così che l'interesse legittimo protetto dall’ordinamento venga frustrato per motivi meramente formali.

La conferma: la sentenza n. 7757 del 24 settembre 2024

Con la sentenza n. 7757 del 24 settembre 2024, il Consiglio di Stato ha ribadito e rafforzato questi principi.

In particolare, ha affermato che non solo il datore di lavoro, ma anche il lavoratore straniero ha diritto a partecipare pienamente al procedimento amministrativo, ricevendo le necessarie comunicazioni di garanzia ex legge 241/1990.

La posizione del lavoratore è qualificata e differenziata, perché:

  • è coinvolto direttamente nella stipula del contratto di soggiorno;

  • è destinatario della richiesta di permesso di soggiorno subordinato alla procedura di emersione;

  • partecipa attivamente a tutto il procedimento, a partire dalla verifica di ammissibilità della domanda presso lo Sportello Unico.

Questa impostazione restituisce centralità alla persona straniera nel procedimento di regolarizzazione, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e tutela dei diritti fondamentali.


Conclusioni

Le sentenze del Consiglio di Stato rappresentano un importante passo avanti nel riconoscimento del ruolo e dei diritti dei lavoratori stranieri all'interno del procedimento di regolarizzazione del 2020.
Esse riaffermano che la tutela dei diritti fondamentali non può essere subordinata a formalismi procedurali e che l'amministrazione deve sempre operare in modo ragionevole, equo e funzionale agli interessi pubblici perseguiti dalla legge.

Il principio è chiaro: dove sussistono i presupposti sostanziali, il diritto dello straniero deve essere riconosciuto.


Avv. Fabio Loscerbo
Email: avv.loscerbo@gmail.com
PEC: avv.loscerbo@ordineavvocatibopec.it
Telefono: +39 334 1675274
Sito ufficiale: www.avvocatofabioloscerbo.it



Revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: esclusa la tutela dei legami familiari in caso di condanna per maltrattamenti e denuncia per stalking

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