sabato 14 giugno 2025

🎙️ Podcast – Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Permesso di soggiorno UE per lungo periodo e condanna penale – cosa dice il TAR


 🎙️ Podcast – Diritto dell’Immigrazione

🎧 Episodio: Permesso di soggiorno UE per lungo periodo e condanna penale – cosa dice il TAR

📢 Benvenuti a questo nuovo episodio del podcast Diritto dell’Immigrazione. Oggi parliamo di una sentenza importante che riguarda il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e in particolare la sua revoca in caso di condanna penale.

⚖️ Con la sentenza numero 681 del 2025, il TAR Emilia-Romagna, sezione prima, ha deciso su un ricorso iscritto al R.G. numero 540 del 2021, presentato da un cittadino del Bangladesh. Questo cittadino era titolare di un permesso UE di lungo periodo rilasciato nel 2017. Dopo una condanna per rapina e lesioni personali, la Questura di Bologna ha revocato il titolo e rilasciato un permesso annuale per lavoro subordinato.

✍️ Il ricorso impugnava il decreto sostenendo che fosse stato adottato automaticamente, senza un’adeguata valutazione dell’integrazione sociale e familiare del ricorrente. Lavorava regolarmente, aveva una famiglia e figli minori frequentanti la scuola.

🔍 Il TAR ha però rigettato il ricorso, affermando che il permesso UE per lungo periodo non è un diritto soggettivo assoluto, ma un beneficio a carattere premiale. Può quindi essere revocato se sussistono gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza. La sentenza chiarisce che la Questura, nel valutare la pericolosità sociale del soggetto, esercita una discrezionalità amministrativa legittima, se motivata.

📌 È un principio importante: non basta la regolarità formale del soggiorno. Il permesso rafforzato richiede anche una condotta conforme ai valori fondamentali dell’ordinamento. La revoca non è automatica, ma può essere disposta in modo proporzionato rispetto alla gravità dei fatti.

🗣️ In conclusione, la sentenza conferma che l’integrazione è una condizione da dimostrare nel tempo, e che il rilascio o il mantenimento del permesso UE non può prescindere dal rispetto dell’ordine pubblico e della sicurezza.

🎙️ Diritto dell’Immigrazione – A cura dell’Avvocato Fabio Loscerbo

La natura premiale del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: limiti e discrezionalità amministrativa alla luce della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sez. I, n. 681/2025 (R.G. 540/2021)

 La natura premiale del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: limiti e discrezionalità amministrativa alla luce della sentenza del TAR Emilia-Romagna, Sez. I, n. 681/2025 (R.G. 540/2021)


1. Introduzione

La sentenza n. 681/2025, depositata in data 12 giugno 2025 dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna (R.G. n. 540/2021), affronta un nodo giurisprudenziale di rilievo in materia di diritto degli stranieri: la revoca di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo a seguito di una condanna penale e il successivo rilascio di un titolo ordinario per motivi di lavoro. La pronuncia conferma un orientamento consolidato secondo cui tale permesso ha carattere lato sensu “premiale” e non attribuisce allo straniero un diritto soggettivo assoluto al mantenimento dello status.


2. Il caso: i fatti e le censure del ricorrente

Il ricorrente, cittadino del Bangladesh, titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato nel 2017 dalla Questura di Bologna, aveva chiesto l’aggiornamento del titolo nel 2019. Con decreto del 26 marzo 2021, notificato il 19 aprile 2021, la Questura ha revocato il permesso di lungo periodo a causa di una condanna penale (per rapina e lesioni personali), rilasciando però un permesso annuale per lavoro subordinato.

Il ricorso deduceva vizi di violazione di legge (art. 9, comma 4, TUI) e difetto di motivazione, sostenendo che la revoca era stata disposta in modo automatico, senza adeguata valutazione del percorso di integrazione del ricorrente, della sua stabile presenza in Italia, della sua condizione familiare, lavorativa e reddituale.


3. Il percorso processuale

L’istanza cautelare veniva respinta nel luglio 2021 (ord. n. 352/2021). Dopo una fase di inattività, la causa è stata iscritta nel ruolo aggiunto per lo smaltimento dell’arretrato, fino all’udienza di merito dell’11 giugno 2025. In quella sede, il TAR ha ritenuto persistente l’interesse del ricorrente e ha deciso la causa nel merito, rigettando il ricorso.


4. Il ragionamento del TAR: il bilanciamento tra pericolosità e integrazione

Il TAR ha ritenuto che l’Amministrazione avesse svolto un’istruttoria completa e non irragionevole. In particolare:

  • Ha riconosciuto che il permesso UE per lungo soggiornanti ha natura non automatica né indefettibile, ma costituisce un riconoscimento di una condizione di integrazione "avanzata" dello straniero.

  • L’Amministrazione ha operato un bilanciamento tra gli interessi coinvolti: da un lato, la gravità dei reati (rapina e lesioni); dall’altro, il percorso di integrazione del ricorrente, testimoniato da lavoro regolare, famiglia in Italia, figli minori frequentanti le scuole.

  • Proprio per tale equilibrio, ha optato per revocare il permesso "rafforzato", ma rilasciare un titolo "ordinario" annuale per lavoro, rinnovabile.

Il TAR ha ribadito che tale impostazione non contrasta con i principi affermati dalla Corte Costituzionale o dalla Corte di Giustizia UE, che impongono un esame individualizzato, ma non escludono la possibilità di negare titoli stabili in presenza di gravi motivi di ordine pubblico.


5. Il principio confermato: il titolo “rafforzato” non è intoccabile

Il Collegio, richiamando precedenti analoghi (TAR Emilia-Romagna, n. 609/2025 e n. 263/2025), ha ribadito che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non può essere riconosciuto in favore di soggetti condannati per fatti che ledono valori costituzionalmente protetti, come l’integrità fisica e la sicurezza collettiva.

Ha inoltre sottolineato che:

  • Il giudizio di pericolosità sociale è rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione;

  • La presenza di un precedente penale grave può giustificare la revoca del permesso UE anche se ciò non impedisce il rilascio di un permesso ordinario;

  • L’Amministrazione ha adempiuto all’obbligo di motivazione e valutazione individuale, escludendo ogni automatismo.


6. Conclusioni

La sentenza n. 681/2025 del TAR Emilia-Romagna offre un’ulteriore conferma del principio secondo cui il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo non è un diritto assoluto, ma è subordinato a un’attenta verifica della condotta dello straniero e dell’assenza di motivi ostativi rilevanti, anche alla luce della sicurezza pubblica.

Il provvedimento impugnato, pur determinando la perdita di uno status più favorevole, non ha privato il ricorrente della possibilità di restare regolarmente in Italia, a condizione di mantenere una condotta conforme alla legge e ai principi della convivenza civile. Si conferma così un modello progressivo e reversibile di integrazione, in cui il mantenimento dello status più stabile resta connesso anche alla responsabilità personale dello straniero.


Avv. Fabio Loscerbo

L’acquisto della cittadinanza per nascita in Italia: quando la volontà dichiarata vale più della forma – Nota alla sentenza del Tribunale di Brescia, R.G. n. 4260/2023, sentenza n. 2325/2025

 L’acquisto della cittadinanza per nascita in Italia: quando la volontà dichiarata vale più della forma – Nota alla sentenza del Tribunale di Brescia, R.G. n. 4260/2023, sentenza n. 2325/2025


1. Premessa

Con sentenza n. 2325/2025, pubblicata il 4 giugno 2025 e pronunciata nel procedimento iscritto al R.G. n. 4260/2023, il Tribunale Ordinario di Brescia – sezione immigrazione – ha riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana di una giovane nata in Italia da genitori stranieri, accertando la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 4, comma 2, della legge n. 91/1992. La decisione si segnala per l’impostazione sostanzialistica nella valutazione della residenza legale e per il superamento di una prassi formalistica che spesso ha ostacolato l’effettivo esercizio del diritto da parte dei soggetti nati e cresciuti in Italia.


2. I fatti: la domanda depositata e l’inerzia amministrativa

La ricorrente, nata in Italia nel 1993 e residente da sempre nel territorio nazionale, aveva presentato al Comune di Dalmine, in data 11 maggio 2012, apposita dichiarazione di volontà per l’acquisto della cittadinanza italiana al compimento della maggiore età. La richiesta, però, non fu mai formalmente protocollata né definita dall’Amministrazione, che solo nel 2023 comunicava – su istanza del legale – che la dichiarazione era “priva delle forme dovute”.

Il Tribunale ha ritenuto censurabile il comportamento del Comune, che avrebbe dovuto attivare un contraddittorio procedimentale, richiedendo eventuali integrazioni e non lasciando inevasa per oltre dieci anni un’istanza così rilevante.


3. I requisiti di legge e il principio di sostanza

Ai sensi dell’art. 4, co. 2, L. n. 91/1992, diviene cittadino italiano il minore straniero nato in Italia che:

  • abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino alla maggiore età;

  • e dichiari, entro un anno dal diciottesimo compleanno, la volontà di acquisire la cittadinanza.

La decisione evidenzia come tutti i requisiti sostanziali risultino ampiamente integrati nel caso di specie: la ricorrente aveva sempre vissuto in Italia, era inserita anagraficamente fin dalla nascita, ed era in possesso di tutta la documentazione comprovante la continuità della presenza sul territorio (certificati scolastici, medici, permessi della madre, ecc.).

Particolarmente rilevante è la valutazione del Tribunale in ordine alla forma della dichiarazione: la mancata protocollazione da parte del Comune è da ritenersi irrilevante, posto che la dichiarazione risultava presente agli atti dell’ufficio. Non poteva dunque attribuirsi alla ricorrente l’omissione, bensì all’inerzia ingiustificata della Pubblica Amministrazione.


4. Orientamenti giurisprudenziali e norme integrative

Il Tribunale richiama la consolidata giurisprudenza – da Cass. n. 7322/2019 a vari precedenti di merito – che riconosce la cittadinanza anche in presenza di irregolarità formali non imputabili al dichiarante, purché siano soddisfatti i requisiti sostanziali.

Viene altresì richiamata la circolare ministeriale n. 22/2007, secondo cui eventuali irregolarità documentali o anagrafiche non possono essere poste a carico del minore, e il successivo art. 33 del d.l. n. 69/2013 che consente di dimostrare la continuità della presenza in Italia con ogni “idonea documentazione”, anche in presenza di disfunzioni riconducibili alla PA o ai genitori.


5. Il dispositivo e la condanna alle spese

In conclusione, il Tribunale ha accolto il ricorso, dichiarando la ricorrente cittadina italiana e ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di procedere alle registrazioni e comunicazioni previste. È stata inoltre disposta la condanna del Ministero dell’Interno al rimborso delle spese di lite, per un totale di euro 1.000 oltre accessori.


6. Conclusioni

La sentenza in commento rappresenta un chiaro esempio di applicazione del principio di effettività dei diritti. Essa afferma che il diritto alla cittadinanza non può essere sacrificato su basi meramente formali, soprattutto quando il comportamento omissivo dell’Amministrazione ha impedito l’esercizio pieno di una prerogativa individuale. L’inquadramento giuridico adottato tutela non solo la legalità sostanziale, ma anche la dignità e il radicamento degli individui nati in Italia, cresciuti e formatisi nel tessuto sociale e culturale nazionale.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 7 giugno 2025

🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Lavorare con la ricevuta del primo permesso per motivi familiari 🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

 🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione

🎧 Episodio: Lavorare con la ricevuta del primo permesso per motivi familiari
🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo


Benvenuti. In questo episodio parliamo di un chiarimento importante del Ministero del Lavoro e dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, contenuto nella circolare n. 4079 del 7 maggio 2018.

Il messaggio è chiaro:
👉 Un cittadino straniero che ha presentato domanda per il primo permesso di soggiorno per motivi familiari può lavorare regolarmente, già con la sola ricevuta della domanda.

Non serve attendere il rilascio del titolo definitivo.
La circolare riconosce che questa ricevuta ha valore legale e attesta la regolarità del soggiorno.

La base normativa è l’articolo 5, comma 9-bis, del Testo Unico Immigrazione, che viene interpretato estensivamente per includere anche i permessi per motivi familiari.

Questo significa che:
🔹 Il familiare può iniziare a lavorare legalmente,
🔹 Il datore di lavoro non rischia sanzioni,
🔹 La regolarità è garantita già dal primo accesso.

È un passo avanti importante verso l’integrazione reale e la semplificazione delle pratiche amministrative.

Per consultare la circolare, potete visitare il sito del Ministero del Lavoro al seguente link:
https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/ingresso-e-soggiorno-per-lavoro-in-italia/Documents/Nota-congiunta-INL-pds-motivi-familiari-prot.pdf




Il diritto al lavoro del familiare straniero nelle more del primo rilascio: la ricevuta della domanda è titolo sufficiente

 Il diritto al lavoro del familiare straniero nelle more del primo rilascio: la ricevuta della domanda è titolo sufficiente

Avv. Fabio Loscerbo


1. Introduzione

Con la circolare n. 4079 del 7 maggio 2018, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro hanno chiarito che il cittadino straniero, familiare di un soggiornante, ha diritto a svolgere attività lavorativa già dalla presentazione della domanda di primo rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, purché corredata dalla relativa ricevuta postale.

La precisazione, rilevante dal punto di vista giuridico e operativo, colma un vuoto interpretativo sul valore della ricevuta ai fini dell’instaurazione di rapporti di lavoro in attesa del rilascio formale del titolo.

Il testo integrale della circolare è disponibile al seguente indirizzo:
https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/ingresso-e-soggiorno-per-lavoro-in-italia/Documents/Nota-congiunta-INL-pds-motivi-familiari-prot.pdf


2. Quadro normativo: art. 30 TUI e art. 5, comma 9-bis

Ai sensi dell’art. 30, comma 2, del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/98), il permesso per motivi familiari consente al titolare di lavorare senza necessità di conversione. La novità introdotta dalla circolare consiste nell’ammettere che anche il solo richiedente tale permesso, in attesa del primo rilascio, possa svolgere attività lavorativa.

Tale possibilità deriva dall’estensione in via interpretativa dell’art. 5, comma 9-bis TUI – originariamente riferito ai permessi per lavoro subordinato – anche ai casi di primo rilascio per motivi familiari.


3. I presupposti per lavorare con la sola ricevuta

Secondo la circolare, per ritenere legittimo lo svolgimento dell’attività lavorativa nelle more del rilascio, è necessario che:

  • la domanda sia stata presentata entro 8 giorni dall’ingresso in Italia;

  • l’interessato sia in possesso del modulo di richiesta e della ricevuta rilasciata dall’ufficio competente (postale o sportello unico);

  • in caso di rinnovo, la richiesta sia stata inoltrata prima della scadenza del permesso precedente.

Tali condizioni sono da ritenersi applicabili anche ai richiedenti permesso per motivi familiari, in quanto – a differenza di altri titoli – tale permesso non richiede alcuna conversione per abilitare al lavoro.


4. Valore giuridico della ricevuta postale

La circolare attribuisce alla ricevuta postale valore legale di prova del soggiorno regolare.
Ciò significa che il richiedente non solo è autorizzato a permanere sul territorio nazionale, ma può instaurare un rapporto di lavoro pienamente legittimo, in quanto conforme alla normativa vigente.

Per datori di lavoro e uffici ispettivi, ciò implica il riconoscimento della validità del rapporto sin dalla fase di richiesta, evitando contestazioni o sanzioni ai sensi dell’art. 22, comma 12 TUI.


5. Conclusioni

La circolare n. 4079/2018 offre un’interpretazione evolutiva e coerente con i principi di effettività dei diritti e di tutela della persona straniera.
Essa consente al familiare straniero richiedente un permesso per motivi familiari di accedere al lavoro regolare sin dalla presentazione della domanda, superando rigidità burocratiche che in passato hanno ostacolato l’inserimento lavorativo e la stabilizzazione sociale.

Il documento si inserisce nel solco di una giurisprudenza e prassi amministrativa sempre più orientate alla semplificazione e alla garanzia di pari dignità lavorativa per tutti i soggetti legittimamente presenti sul territorio nazionale.


Avv. Fabio Loscerbo

🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione 🎧 Episodio: Nessun reato per il genitore che accompagna figli minori nell’ingresso irregolare 🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

 

🎙️ Podcast: Diritto dell’Immigrazione
🎧 Episodio: Nessun reato per il genitore che accompagna figli minori nell’ingresso irregolare
🎙️ A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo

Benvenuti in una nuova puntata del podcast Diritto dell'Immigrazione.
In questo episodio parliamo della recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affermato un principio fondamentale:

👉 Un genitore che accompagna i propri figli minori nell’ingresso non autorizzato in Europa non commette alcun reato.

Non si tratta di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma dell’esercizio della responsabilità genitoriale.
Perseguire penalmente questa condotta violerebbe il diritto alla vita familiare, l’interesse superiore del minore e il diritto d’asilo.

La Corte ha inoltre chiarito che chi presenta domanda di protezione internazionale non può essere considerato in soggiorno irregolare fino alla decisione definitiva di primo grado.

Questa pronuncia segna un punto fermo:
🔹 La protezione della famiglia e dei minori prevale sulla logica repressiva.

🎙️ Avete ascoltato “Diritto dell’Immigrazione”, a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo.
Alla prossima puntata.


Immigrazione e responsabilità genitoriale: la Corte UE esclude il reato di favoreggiamento per i genitori che accompagnano figli minori nell’ingresso irregolare

 Immigrazione e responsabilità genitoriale: la Corte UE esclude il reato di favoreggiamento per i genitori che accompagnano figli minori nell’ingresso irregolare

Autore:
Avv. Fabio Loscerbo


Introduzione

La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-460/23, 3 giugno 2025) segna una svolta nell’interpretazione della normativa europea in materia di immigrazione irregolare e responsabilità genitoriale. Secondo la Corte, il genitore o affidatario che accompagna figli minori nell’ingresso non autorizzato in uno Stato membro non può essere perseguito penalmente, poiché tale condotta rientra nell’ambito della responsabilità familiare e del superiore interesse del minore.


Il caso

Il caso trae origine da un procedimento penale in Italia nei confronti di una donna congolese, arrestata all’aeroporto di Bologna mentre cercava di entrare nel territorio nazionale accompagnata dalla figlia e dalla nipote minorenni, con documenti falsi. La Procura le contestava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tuttavia, il Tribunale ha sospeso il procedimento e rimesso gli atti alla Corte di Giustizia dell’UE, chiedendo chiarimenti sull’interpretazione della Direttiva 2002/90/CE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.


Il principio espresso dalla Corte

Con una decisione di forte impatto, la Corte ha stabilito che l'accompagnamento di figli minori da parte del genitore o dell’affidatario non può costituire favoreggiamento dell’ingresso irregolare ai sensi del diritto dell’Unione. Sanzionare tale condotta comporterebbe una violazione:

  • del diritto al rispetto della vita familiare (art. 7 della Carta),

  • del superiore interesse del minore (art. 24),

  • e del diritto d’asilo (art. 18).

La Corte ha inoltre ribadito che lo status di richiedente protezione internazionale esclude di per sé la qualificazione del soggiorno come irregolare, almeno fino a quando la domanda non sia rigettata con decisione definitiva in primo grado.


Conseguenze per gli ordinamenti nazionali

Il principio espresso nella sentenza ha un effetto vincolante diretto per tutti gli Stati membri. Ne consegue che ogni disposizione nazionale che criminalizzi condotte come quella descritta – senza tenere conto del legame familiare e della condizione di minore – deve essere disapplicata. La sentenza impone quindi una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata delle norme penali sull’immigrazione.


Implicazioni pratiche

Il pronunciamento della CGUE costituisce un’importante guida interpretativa per avvocati, giudici e operatori del diritto. In particolare:

  • esclude il rischio penale per chi, in quanto genitore o tutore, accompagni un minore verso un contesto protetto;

  • impone agli Stati membri un approccio più umano e rispettoso dei diritti fondamentali;

  • rafforza il principio secondo cui il diritto dell’Unione prevale sulle normative interne quando queste ne violano i principi essenziali.


Conclusione

Questa sentenza rappresenta un esempio virtuoso di come l’interpretazione giuridica europea possa fungere da argine alla deriva repressiva in materia migratoria. La famiglia non può essere criminalizzata per aver cercato protezione: un messaggio forte, chiaro e giuridicamente fondato.


Fonti:


Avv. Fabio Loscerbo

Il valore non ostativo della scadenza del permesso nella procedura di conversione: una conferma giurisprudenziale Nota a T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. n. 1147/2025, R.G. n. 720/2025, emessa il 25 giugno 2025

  Il valore non ostativo della scadenza del permesso nella procedura di conversione: una conferma giurisprudenziale Nota a T.A.R. Calabria,...