domenica 13 aprile 2025

La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

 La protezione speciale e il precedente penale grave: la rilevanza dell’integrazione e del bilanciamento con l’interesse pubblico secondo il Tribunale di Bologna

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. 2291/2024, emessa in data 8 marzo 2024 (R.G. 579/2024), il Tribunale di Bologna affronta in modo approfondito e innovativo il tema dell’accesso alla protezione speciale per stranieri gravati da una condanna per reato grave, collocandosi nel solco della giurisprudenza di legittimità che valorizza la funzione costituzionale e convenzionale di tale istituto.

Il ricorrente aveva presentato istanza ex art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286/98 direttamente al Questore prima dell’entrata in vigore della riforma del 2023, ricevendone rigetto in quanto gravato da condanna definitiva per un reato di particolare gravità, nonostante la pena fosse già stata interamente espiata. La decisione era stata adottata sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione territoriale di Bologna.

Il principio generale: il bilanciamento tra diritto alla vita privata e sicurezza pubblica

Nella propria motivazione, il Tribunale richiama i principi sanciti dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, sottolineando come l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU debba essere sempre oggetto di un bilanciamento con le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, secondo un criterio di proporzionalità e attualità del pericolo.

Il punto centrale dell’argomentazione è che la sola esistenza di una condanna penale – anche grave – non preclude automaticamente l’accesso alla protezione speciale, soprattutto quando il richiedente ha già scontato la pena e ha dimostrato nel tempo un percorso serio di integrazione sociale e rieducazione.

Gli elementi valutati dal Tribunale

Nel caso concreto, il Tribunale ha ricostruito con attenzione la posizione personale del ricorrente, evidenziando:

  • una presenza ultradecennale in Italia (13 anni), con un progressivo percorso di radicamento personale e lavorativo;

  • la partecipazione attiva a percorsi di istruzione e formazione, anche durante la detenzione;

  • l’attività lavorativa svolta sia all’interno che all’esterno del carcere, a dimostrazione di un impegno costante;

  • il miglioramento delle competenze linguistiche e l’inserimento sociale progressivo;

  • la convivenza con la zia ma con autonomia abitativa, segno di un consolidato equilibrio personale.

Il Tribunale osserva come, pur non potendosi ritenere cessata ogni potenziale pericolosità del ricorrente, questa risulti tuttavia notevolmente affievolita rispetto al passato e comunque non più prevalente rispetto al diritto al rispetto della vita privata.

Il giudizio di prevalenza: protezione speciale e non espulsione

Secondo il giudice, il diritto del ricorrente a non essere allontanato dal territorio nazionale, in forza del legame consolidato con l’Italia, del percorso rieducativo compiuto e dell’integrazione personale e lavorativa raggiunta, supera le esigenze generiche di sicurezza pubblica, che appaiono “subvalenti” nel caso di specie.

In particolare, la pronuncia ribadisce che il rischio di una compromissione irreparabile della vita privata e familiare – qualora l’interessato fosse rimpatriato dopo molti anni di vita in Italia – impone una valutazione che non può prescindere dal principio di proporzionalità e dal riconoscimento della dignità personale del migrante.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Bologna rappresenta un importante precedente nell’ambito del diritto degli stranieri: essa dimostra come anche chi ha commesso reati gravi possa, attraverso un autentico percorso di integrazione e riscatto, vedersi riconosciuto il diritto a restare in Italia per effetto della protezione speciale.

È una decisione che ricorda come il diritto debba sempre coniugare tutela della collettività e riconoscimento del valore delle storie personali, in coerenza con i principi della Costituzione italiana e della CEDU. La protezione speciale, in questa prospettiva, si conferma come uno strumento di giustizia sostanziale, capace di valutare il migrante non solo per il suo passato, ma anche per il suo presente e per il futuro che costruisce ogni giorno.

Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

 La protezione speciale tra legami familiari e diritto alla vita privata: il Tribunale di Bologna riconosce il diritto a madre albanese di sostenere la figlia universitaria in Italia

Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato immigrazionista – www.avvocatofabioloscerbo.it

Con sentenza del 9 gennaio 2025 (RG. 6843/2024), il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale in favore di una cittadina albanese, residente in Italia dal 2021, giunta nel nostro Paese per sostenere economicamente e affettivamente la propria figlia, cittadina greca, iscritta presso un'università italiana. Il provvedimento annulla il diniego emesso dalla Questura di Forlì sulla base del parere negativo espresso dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

1. Il contesto familiare: una madre al fianco della figlia

La vicenda ricostruita in fatto dal Tribunale evidenzia una dinamica familiare di forte impatto umano e giuridico: la donna, residente in Grecia da 24 anni con il marito, si separava da quest’ultimo nel momento in cui la figlia, giunta alla maggiore età, decideva di trasferirsi in Italia contro la volontà paterna. La madre la seguiva, scegliendo di vivere in Italia per fornire sostegno affettivo ed economico, anche a costo di interrompere un rapporto matrimoniale pluridecennale.

2. Il fondamento giuridico: l’art. 8 CEDU e la protezione speciale

Esclusa la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale o per la protezione complementare ex art. 19, commi 1 e 1.1., d.lgs. 286/1998 nella loro prima parte, il Tribunale riconosce i presupposti per l'applicazione della protezione speciale nella sua formulazione antecedente alla riforma introdotta con il D.L. n. 20/2023, in quanto la relativa istanza era stata proposta anteriormente.

La motivazione si fonda in larga parte sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), richiamando espressamente i principi elaborati dalla Corte EDU e consolidati dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 24413/2021, nonché dalla successiva Cass. n. 7861/2022.

3. Vita privata e familiare: nozioni autonome e interconnesse

Il Tribunale ribadisce la distinzione tra diritto alla vita privata e diritto alla vita familiare, entrambi tutelati dall’art. 8 CEDU. Quanto alla vita privata, viene richiamata la giurisprudenza della Corte EDU (Niemetz c. Germania, Peck c. Regno Unito, Bărbulescu v. Romania) che ne evidenzia la portata ampia, comprendente l’identità personale, le relazioni sociali, l’inserimento lavorativo e la stabilità in una data collettività.

Quanto alla vita familiare, viene richiamata la nota sentenza Marckx c. Belgio e altre pronunce più recenti (Narjis c. Italia, Paradiso e Campanelli c. Italia, Oliari c. Italia), che evidenziano come tale concetto possa estendersi anche a rapporti tra genitori e figli adulti, ove vi siano elementi concreti di dipendenza che vadano oltre la mera affettività.

4. L’elemento di dipendenza: un legame affettivo che diventa giuridicamente rilevante

Pur riconoscendo che ordinariamente i rapporti tra genitori e figli maggiorenni non danno luogo, di per sé, a una situazione giuridicamente protetta ex art. 8 CEDU, il Tribunale ravvisa nella vicenda concreta un’eccezione significativa: la ricorrente è oggi l’unico riferimento familiare per la figlia, che ha scelto un percorso autonomo in Italia in contrasto con la volontà del padre; la madre, a sua volta, ha modificato radicalmente la propria vita per accompagnare e sostenere questa scelta. Il legame, dunque, travalica la sfera privata per assumere rilevanza pubblica e giuridica.

5. L’integrazione sociale come ulteriore elemento di protezione

Il Tribunale valorizza inoltre la capacità di inserimento della ricorrente nel contesto italiano: ha reperito impieghi lavorativi, vive in autonomia e ha acquisito la lingua italiana. La circostanza che non conviva più con la figlia non è ritenuta ostativa, in quanto non richiesta dalla giurisprudenza europea per la tutela del diritto alla vita privata e familiare.

6. Conclusioni: il diritto alla protezione speciale come tutela dell’identità personale e relazionale

La sentenza in commento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale sempre più attento alla dimensione relazionale dell’identità migrante, valorizzando non solo la protezione da pericoli, ma anche la tutela dell'inserimento, delle relazioni significative e della progettualità individuale.

In tale prospettiva, la protezione speciale si conferma non come uno strumento residuale, ma come una garanzia costituzionale e convenzionale, che riconosce la dignità delle scelte affettive, familiari e sociali, soprattutto quando queste sono sostenute da sacrifici reali e da un percorso di integrazione autentico.


giovedì 10 aprile 2025

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Il visto per accompagnatore del titolare di permesso per cure mediche: diritti, limiti e recenti aperture giurisprudenziali

Avv. Fabio Loscerbo

Il rilascio del visto d’ingresso in favore dell’accompagnatore – o caregiver – di un cittadino straniero titolare di permesso di soggiorno per cure mediche rappresenta un tema che coniuga esigenze umanitarie, discrezionalità amministrativa e garanzie giurisdizionali. La disciplina normativa di riferimento è contenuta nell’art. 36, comma 1, del d.lgs. 286/98 (TUI), il quale riconosce non solo al malato straniero, ma anche all’eventuale accompagnatore, il diritto a ottenere un visto specifico, laddove sussistano precise condizioni di legge.

Tali condizioni riguardano la presentazione della documentazione sanitaria da parte della struttura italiana che erogherà le cure, la disponibilità di mezzi economici, la garanzia di vitto e alloggio durante il soggiorno e la degenza, nonché il versamento di una somma a titolo cauzionale. Inoltre, è esplicitamente previsto che la domanda possa essere presentata da un familiare o da chiunque vi abbia interesse, a conferma della natura sostanziale e non formale dell’interesse legittimante.

Il Decreto MAECI 11.5.2011, Allegato A, conferma la possibilità per l’accompagnatore di ottenere un visto per cure mediche, a condizione della disponibilità di adeguati mezzi di sostentamento, secondo i parametri fissati dal Ministero dell’Interno.

Una recente e significativa applicazione di tali disposizioni si rinviene nell’ordinanza n. 5693 del 12 dicembre 2024 del TAR Lazio, sede di Roma, che si distingue per chiarezza argomentativa e impatto sistematico. Il Collegio si è espresso su numerosi profili critici connessi a un diniego di visto opposto all’accompagnatore di un soggetto straniero già titolare di permesso per cure mediche. Le questioni affrontate attengono alla legittimazione attiva, alla qualifica soggettiva del caregiver, alla valutazione del rischio migratorio e alla possibilità di una condanna satisfattiva anche in sede cautelare.

Sul primo punto, viene affermato un principio fondamentale: la richiesta del visto può essere presentata tanto dal soggetto infermo quanto dall’accompagnatore stesso, principio coerente con l’art. 36 TUI e confermato da precedente giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, ord. n. 4799/2024).

Quanto alla qualifica soggettiva del caregiver, il TAR chiarisce che non è necessario alcun legame di parentela tra questi e il malato: il ruolo di accompagnatore può essere assunto da qualunque soggetto idoneo, anche estraneo alla cerchia familiare. La mancanza di legalizzazione o di sufficiente documentazione circa un eventuale legame familiare non può giustificare il diniego del visto, in quanto non richiesta da alcuna delle fonti normative di riferimento, nemmeno dal d.m. n. 850/2011.

Di rilievo è anche il passaggio in cui si stigmatizza la condotta dell’Amministrazione, la quale, nel corso del giudizio, aveva tentato di giustificare il diniego con una valutazione ex post del rischio migratorio, non contenuta nel provvedimento originario. Tale motivazione è stata dichiarata inammissibile, in quanto postuma e lesiva del principio di trasparenza dell’azione amministrativa.

Infine, particolarmente rilevante è la parte dell’ordinanza in cui il TAR accoglie l’istanza di condanna satisfattiva avanzata in sede cautelare, ai sensi degli artt. 34, lett. c) e 31, co. 3, c.p.a. La decisione si fonda sull’evidente esaurimento della discrezionalità amministrativa, già consumata con l’istruttoria e l’adozione del provvedimento impugnato, e sull’assenza di ostacoli derivanti da motivi di ordine pubblico o sicurezza.

Il provvedimento rappresenta, pertanto, una significativa evoluzione del diritto vivente in tema di ingresso e soggiorno degli accompagnatori di cittadini stranieri in terapia medica. Esso ribadisce che la ratio legis del sistema è orientata alla tutela della dignità e della salute, e che le valutazioni amministrative devono rispettare il principio di proporzionalità e motivazione, senza lasciarsi guidare da pregiudizi generalizzati o automatismi legati al cd. “rischio migratorio”.

È auspicabile che l’orientamento espresso trovi conferma in futuro, contribuendo a rendere il diritto all’accompagnamento durante le cure un’effettiva garanzia, indipendentemente dalla nazionalità, dalla parentela o da interpretazioni restrittive.


Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato in Bologna – Esperto in diritto dell’immigrazione

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

 

Richiedenti protezione internazionale trattenuti: tra sospensione dei termini, procedura accelerata e doppia nozione di status

di Avv. Fabio Loscerbo

Con le sentenze nn. 32763 e 32767 del 16 dicembre 2024, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione torna a intervenire su una questione giuridica centrale nell’ambito del diritto dell’asilo: la gestione del trattenimento amministrativo in caso di presentazione della domanda di protezione internazionale da parte di un cittadino straniero già privato della libertà personale.

Entrambe le decisioni si collocano nella scia tracciata dalla sentenza n. 212/2023 della Corte costituzionale, ma si spingono oltre, delineando una ricostruzione sistematica del rapporto tra status sostanziale e formale di richiedente asilo, dei termini delle procedure accelerate e della tenuta costituzionale delle misure di trattenimento.


1. La legittimità della sospensione dei termini del trattenimento

Nella sentenza n. 32763/2024, la Corte affronta l’interpretazione dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015, nella parte in cui dispone la sospensione dei termini del trattenimento qualora un cittadino straniero presenti domanda di protezione internazionale durante il periodo di trattenimento già convalidato dal giudice di pace.

Secondo la Corte, tale sospensione non determina la cessazione dell’efficacia del provvedimento restrittivo, che continua a produrre effetti giuridici in virtù della convalida originaria. A sostegno di tale impostazione, i giudici supremi richiamano l’art. 304 c.p.p., che ammette la sospensione dei termini della custodia cautelare senza che ciò infici la legittimità della misura detentiva.

Fino a che non intervenga la registrazione formale della domanda di asilo e l’adozione di un nuovo decreto di trattenimento ai sensi dell’art. 6, comma 3, la base legale della privazione della libertà resta quindi quella originaria, purché sia rispettato il termine delle 48 ore per la convalida del nuovo trattenimento una volta adottato.


2. La distinzione tra richiedente asilo primario e secondario

La Corte opera una distinzione rilevante tra richiedente asilo primario, ossia colui che presenta domanda in libertà, e richiedente asilo secondario, che invece manifesta la volontà di chiedere protezione in costanza di trattenimento.

Questa distinzione si riflette non solo sul piano procedurale, ma anche sul livello delle garanzie e dei doveri dello Stato. Per il richiedente trattenuto, l’art. 8, par. 3, lett. d) della Direttiva 2013/33/UE legittima il trattenimento in presenza di fondati motivi per ritenere strumentale la domanda, vale a dire presentata al solo scopo di impedire l’esecuzione del rimpatrio.

Nel costruire la differenza tra status formale e sostanziale di richiedente asilo, la Cassazione precisa che la manifestazione della volontà di richiedere protezione è sufficiente per acquisire una serie di garanzie, ma alcuni adempimenti procedurali restano vincolati alla formalizzazione della domanda.

La Corte auspica che le due condizioni, formale e sostanziale, siano riunificate nel più breve tempo possibile, come prescritto anche dall’art. 26, comma 2-bis, del d.lgs. 25/2008, al fine di evitare lacune di tutela.


3. Procedura accelerata: termini ordinatori e tutela effettiva

Nella sentenza n. 32767/2024, la Cassazione si pronuncia sulla procedura accelerata disciplinata dall’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008, con particolare riferimento al coordinamento con l’art. 6 del d.lgs. 142/2015.

Confermandone l’orientamento consolidato, la Corte afferma che i termini di sette giorni per l’audizione e di due giorni per la decisione, previsti per le domande manifestamente infondate, non sono perentori, bensì meramente ordinatori. Il loro superamento non comporta la cessazione automatica del trattenimento, bensì la reviviscenza della procedura ordinaria, con conseguente ripristino del termine pieno per il ricorso e dell’effetto sospensivo automatico.

La violazione dei termini, tuttavia, non è irrilevante: l’inerzia o il superamento ingiustificato possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, se e in quanto incida sulla necessaria diligenza e tempestività dell’Amministrazione.

Interessante è il chiarimento secondo cui la mancata comunicazione al trattenuto del superamento dei termini non comporta nullità o invalidità della misura, poiché l’art. 27, comma 3, d.lgs. 25/2008 non prevede un vincolo formale in tal senso.


4. Considerazioni finali

Le due sentenze pongono l’accento su un equilibrio complesso tra diritto alla protezione internazionale, tutela effettiva giurisdizionale e legittimo interesse dello Stato a contrastare abusi e strumentalizzazioni.

Pur riaffermando la necessità di tempestività e accuratezza nella gestione procedurale, la Corte difende la legittimità del trattenimento in presenza di istanze sospette, sempreché il controllo giurisdizionale rimanga pienamente attivo e rigoroso.

Al contempo, si delinea con chiarezza l’invito – rivolto implicitamente anche all’Amministrazione – a non ritardare oltre misura la formalizzazione della domanda, affinché il richiedente non resti in una zona grigia giuridica, con effetti ambigui sulla propria libertà e sulla qualità dei propri diritti.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 5 aprile 2025

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

 

N. R.G. 8654/2024 – Sentenza del Tribunale di Bologna del 30 marzo 2025: accertato il diritto al permesso di soggiorno per motivi familiari in assenza iniziale di idoneità abitativa

Avv. Fabio Loscerbo

Con la sentenza n. R.G. 8654/2024, pronunciata in data 30 marzo 2025 dal Tribunale di Bologna, Sezione Immigrazione, il Giudice ha accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento della Questura di Ravenna che aveva rigettato un’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, motivandolo con l’assenza del certificato di idoneità abitativa.

Il contesto fattuale

Il ricorrente, cittadino albanese regolarmente coniugato con una cittadina straniera titolare di un valido titolo di soggiorno, aveva chiesto il rilascio di un permesso per motivi di coesione familiare. Tuttavia, l’Amministrazione aveva respinto l’istanza a causa della mancata allegazione del certificato di idoneità abitativa, requisito richiesto ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. 286/98.

Nel corso del procedimento giudiziario, il ricorrente ha prodotto il certificato mancante, riferito a un nuovo immobile nel quale risiede attualmente il nucleo familiare. L’alloggio è risultato conforme per sei persone, ed effettivamente occupato da quattro: il ricorrente, la moglie e le due figlie.

Il principio giuridico richiamato

La sentenza fa corretta applicazione del consolidato principio espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui il giudice ordinario, nel sindacare il diniego del permesso di soggiorno, è vincolato ai motivi contenuti nel provvedimento impugnato e non può estendere d’ufficio il thema decidendum oltre i limiti della motivazione amministrativa e delle deduzioni delle parti (Cass. civ., sez. I, 08.02.2005, n. 2539; Cass. civ., sez. I, 18.04.2019, n. 10925).

In tal senso, il Giudice si è limitato ad accertare la sussistenza del requisito effettivamente posto a fondamento del rigetto, rilevando che il documento mancante era stato successivamente acquisito in giudizio e attestava l’idoneità abitativa richiesta per legge.

La decisione

Alla luce delle nuove risultanze, il Tribunale ha riconosciuto il diritto del ricorrente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, compensando le spese di lite in ragione della natura della controversia e delle produzioni documentali intervenute solo in corso di causa.

Considerazioni finali

La pronuncia conferma l’importanza della tempestiva regolarizzazione documentale in sede contenziosa e valorizza l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare l’unità familiare in presenza dei presupposti sostanziali, anche quando il requisito documentale sia stato integrato in un momento successivo rispetto alla domanda amministrativa originaria.


Avv. Fabio Loscerbo

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RG 269/2025 – Decreto del Giudice di Pace di Pistoia del 2 aprile 2025: la sospensione dell’espulsione in presenza di una domanda di protezione internazionale

RG 269/2025 – Decreto del Giudice di Pace di Pistoia del 2 aprile 2025: la sospensione dell’espulsione in presenza di una domanda di protezione internazionale

Abstract
Il presente contributo analizza il decreto emesso dal Giudice di Pace di Pistoia in data 2 aprile 2025 (RG 269/2025), con cui è stata disposta la sospensione dell’efficacia di un provvedimento di espulsione adottato dalla Prefettura – UTG di Pistoia, alla luce della presentazione da parte dello straniero di una domanda di protezione internazionale successivamente all’adozione del provvedimento espulsivo. Il provvedimento si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza nazionale ed europea in tema di diritto alla permanenza sul territorio nel corso della procedura di protezione, ribadendo la prevalenza delle garanzie riconosciute ai richiedenti asilo.


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1. Il caso concreto

Il procedimento ha riguardato l’impugnazione di un decreto di espulsione emesso il 7 gennaio 2025 a carico di un cittadino straniero, F.O., il quale, nelle more del giudizio, ha presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Il ricorso è stato affidato alla difesa dell’Avv. Fabio Loscerbo del Foro di Bologna.

La documentazione prodotta in giudizio ha attestato che in data 14 febbraio 2025 era stata formalizzata la richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Firenze, con contestuale rilascio del permesso di soggiorno provvisorio ai sensi dell’art. 4, co. 3 del D.Lgs. 142/2015.


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2. Il principio di inespellibilità del richiedente protezione

Il Giudice di Pace, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra cui Cass. 19819/2018 e Cass. 11309/2019), ha riaffermato il principio per cui il richiedente asilo ha diritto a permanere sul territorio dello Stato fino alla conclusione della procedura, anche nel caso in cui la domanda sia stata presentata successivamente all’emissione del decreto espulsivo.

Tale orientamento è stato rafforzato dal riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE, Grande Sezione, 15.02.2016, C-601/15 PPU), che ha sottolineato l’obbligo degli Stati membri di garantire l’effettivo esercizio del diritto di asilo prima dell’esecuzione di qualsiasi misura di allontanamento.


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3. Sospensione dell’efficacia esecutiva e non annullamento del decreto di espulsione

Un aspetto centrale della decisione è rappresentato dalla distinzione operata tra l’annullamento del provvedimento espulsivo e la sospensione della sua efficacia: il decreto conferma che la presentazione della domanda di protezione internazionale non determina l’automatica invalidità del decreto di espulsione, ma impone esclusivamente la sua sospensione, in attesa della decisione della Commissione Territoriale.

Tale interpretazione, coerente con Cass. 5437/2020 e Cass. 25694/2020, consente di garantire un equilibrio tra il potere amministrativo di adottare misure di allontanamento e la tutela dei diritti fondamentali dello straniero.


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4. Conclusioni

Il provvedimento in commento rappresenta un’applicazione corretta e coerente dei principi costituzionali ed eurounitari in materia di protezione internazionale. Esso rafforza l’idea che, anche in ambito amministrativo, il diritto alla permanenza temporanea dello straniero sia strumentale alla piena ed effettiva fruizione del diritto d’asilo, e che l’adozione di provvedimenti espulsivi debba sempre confrontarsi con le tutele previste per i richiedenti.

In un contesto giurisprudenziale in cui si tende talvolta a comprimere il diritto alla difesa e alla permanenza, la decisione del Giudice di Pace di Pistoia merita apprezzamento per la chiarezza dei presupposti giuridici e per l’equilibrio garantito tra le esigenze di sicurezza e il rispetto dei diritti umani.


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Avv. Fabio Loscerbo
Foro di Bologna – www.avvocatofabioloscerbo.it

martedì 1 aprile 2025

R.G. 8654/2024 – Tribunale di Bologna – Sentenza del 30 marzo 2025 Permesso di soggiorno per motivi familiari: prevale la produzione tardiva del certificato di idoneità abitativa

 

R.G. 8654/2024 – Tribunale di Bologna – Sentenza del 30 marzo 2025

Permesso di soggiorno per motivi familiari: prevale la produzione tardiva del certificato di idoneità abitativa

Nel procedimento iscritto al n. R.G. 8654/2024, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso presentato da un cittadino albanese avverso il provvedimento della Questura di Ravenna con cui era stato disposto il rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il provvedimento impugnato si fondava unicamente sulla mancanza, al momento della domanda, del certificato di idoneità abitativa previsto dall’art. 29, comma 3, del D.lgs. 286/1998. In sede di giudizio, tuttavia, tale documento è stato prodotto e ha attestato la piena conformità dell’alloggio ospitante, già residenza della moglie del ricorrente, per sei persone, numero che comprendeva il nucleo familiare di riferimento.

Il Tribunale ha precisato, sulla scorta di consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. I, sent. n. 2539/2005 e n. 10925/2019), che il sindacato del giudice ordinario in tema di permessi di soggiorno per motivi familiari è circoscritto ai profili specificamente contestati nel provvedimento impugnato, senza possibilità di estendere il controllo ad altri presupposti non dedotti.

Con riferimento al caso concreto, il Tribunale ha quindi ritenuto irrilevante il momento in cui il certificato di idoneità abitativa è stato presentato, osservando che nel momento della decisione l’alloggio risultava conforme e la residenza del ricorrente già avviata presso il medesimo immobile.

Il ricorso è stato quindi accolto, con accertamento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Le spese sono state compensate in ragione della natura documentale della controversia.

La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a tutelare il diritto all’unità familiare e a valorizzare la leale collaborazione procedimentale tra cittadino e pubblica amministrazione, anche alla luce dell’art. 7 della Direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare. Essa conferma che la produzione tardiva di documenti determinanti – se intervenuta prima della decisione finale – non può giustificare un automatismo rigettante, ma deve essere esaminata nel merito.


Avv. Fabio Loscerbo

Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

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